Quaderni Storiografici del BIG N° 3.14 Gli albori della cornamusa in Italia

Storia del

REALE BAGPIPE CLUB DITALIA

La storia della Cornamusa Scozzese in Italia ha origini incerte e poco documentate. La necessità di utilizzare solo fonti certe ha costretto a non considerare figure leggendarie come l’ottocentesco pirata Louis Ommis, che forse durante una scorribanda nel Mediterraneo naufragò sulle secche della Meloria stabilendosi così a Livorno. Di lui si dice che possedesse una tecnica originale e prodigiosa, che però causava la pazzia in chiunque provasse a utilizzarla. Occorre perciò andare fino al periodo della Prima Guerra Mondiale per trovare figure storiche e avvenimenti documentabili da cui iniziare questo affascinante viaggionel tempo. Due giovani “ragazzi del ‘99”, il senese Aristide Pietri e il fiorentino Rutilio Felicianni, vennero in quel tempo chiamati alle armi e inviati sul Piave. All’epoca era presente su quel fronte un isolato distaccamento del battaglione scozzese dei Gordon Highlanders tra le cui fila erano presenti alcuni valenti piper. I due, pur se spaesati e provati dalla dura vita di trincea, rimasero affascinati da quel suono potente ed evocativo e decisero di imparare a suonare la Great Highland Bagpipe. Durante un sanguinoso assalto furono entrambi feriti, quasi inspiegabilmente alle terga, per fortuna in maniera non grave. Ne seguì il ricovero presso un’ospedale militare dove conobbero Ernest, un guidatore di ambulanze americano, e tramite lui George Stewart, detto affettuosamente GS, un piper dei Gordon Highlanders che era stato ricoverato per gravi problemi di fegato. I quattro fraternizzarono e spesso nottetempo fuggivano dall’ospedale per cercare conforto, cioè qualcosa da bere. Approvigionarsi stava infatti diventando quasi impossibile e possiamo immaginarci quale fu la sorpresa quando i due italiani, durante una loro scappatella senza gli amici anglosassoni, si imbatterono in due bretoni, Alain LeRouzic e Bruno Huitol, marinai del sottomarino francese Curie catturato dagli austriaci a Pola; erano riusciti a evadere dal campo di prigionia e se ne andavano in giro a regalare bottiglie di pregiato lambic per sostenere la lotta contro l’odiato calvados. I due tornarono all’ospedale militare con una ventina di bottiglie che scambiarono facilmente con la cornamusa di G..S; egli, riconoscente, fornì loro anche due practice chanter, e quando le sue condizioni alcoliche lo permettevano gli dava lezioni che i nostri due eroi pagavano con 4 sigarette Woodbine all’ora.La notizia della fine della guerra li raggiunse mentre assistevano tristi alle esequie di GS inspiegabilmente trovato morto da un’infermiera forse a causa di un assaggio orizzontale di 15 diverse bottiglie di lambic.

Alla fine della guerra i due si accomiatarono anche da Ernest, di cui non ebbero più notizie, anche se giunsero voci di una sua presenza in Spagna, negli anni trenta, e addirittura a Cuba negli anni cinquanta.

Che girellone inconcludente! Non combinerà mai nulla di buono, figuriamoci poi fare lo scrittore come diceva sempre!” Sentenziò Rutilio, mentre il Pietri al suo fianco annuiva rassegnato.

I due partirono per tornare in Toscana, ripromettendosi di procurarsi un’altra cornamusa e di formare un’associazione per diffondere questo meraviglioso strumento. Il loro sogno divenne realtà il 21 dicembre 1921, quando Aristide e Rutilio fondarono a casa del Felicianni il “ Reale Bagpipe Club d’Italia”. I soldi a disposizione erano ben pochi: Aristide faceva il bracconiere all’Osmannoro mentre Rutilio addestrava cani da guardia, con un metodo originalissimo che non fu però misteriosamente mai più utilizzato; ma dopo molti sacrifici riuscirono ad acquistare uno dei primi apparecchi radiofonici per poter seguire le peraltro rarissime trasmissioni sulla cornamusa che provenivano dalla Gran Bretagna.

Nella foto A. Pietri e R Felicianni con il loro apparecchio radio Lumophon Gloria

Un vero colpo di fortuna fu poi l’incontro con un suonatore bretone di cornamusa che era stato incarcerato e poi rilasciato per alcuni atti osceni commessi durante un concerto. Venuti a conoscenza del fatto i due appassionati vollero incontrarlo e fu grande la sorpresa quando riconobbero Alain LeRouzic, il loro fornitore di lambic in tempo di guerra. Grazie a questa rinnovata amicizia i due poterono progredire regolarmente nello studio, anche se a costo di patologie epatiche non di poco conto.

Con l’avvento del Fascismo le attività del Club si fecero più defilate in quanto il regime lo osteggiava in quanto portatore di musiche e cultura non autarchici e anzi legati in qualche modo alla Perfida Albione. Pur in queste condizioni difficili fu proprio in quegli anni che il Club vide l’arrivo dei primi accoliti, provenienti da tutte le parti d’Italia, che sfidando le difficoltà del viaggio e l’aperta ostilità del regime si recavano regolarmente a Firenze per fare lezione. Le foto dell’epoca mostrano tra loro anche una donna, Ortensia Scioltini, che però era di Prato e si era unita al gruppo per altri motivi.(nella foto da sinistra: Cesidio Imbasté, Rutilio Felicianni, Folco Tomati, Ortensia Scioltini, Ermete Brescia, Aristide Pietri.)

I due fondatori stavano in quegli anni cercando il modo di produrre un proprio kilt, a partire da scampoli di stoffa provenienti da quella città. La soluzione si presentò quando Remo, compagno di gozzoviglie destinato a sposare una certa Peggy, ricca ragazza americana, e a trasferirsi poi con lei negli Stati Uniti, presentò loro proprio Ortensia, una sartina che lavorava a Coverciano. Ella accettò con entusiasmo la nuova occupazione, ma i primi tempi per lei furono duri: non solo i due controllavano minuto dopo minuto il suo lavoro,ma spesso si esercitavano lungamente al practice.

Fu solo grazie al suo carattere sereno che la giovane riuscì a sopportare quella dura condizione, di cui in seguito avrebbe comunque palesato gli strascichi affermando “Mi piace la cornamusa, ma non la sopporto”. Ma al cuore, si sa, non si comanda e Ortensia cedette dopo un lungo periodo di corte serrata al Pietri, che ogni giorno le portava beccacce e voltolini, di cui ella era ghiotta, dopo averli catturati di frodo all’Osmannoro.

Nel 1934 l’ostilità del regime fascista verso il Club si fece sempre più forte. Infatti la Società delle Nazioni varò delle sanzioni contro l’Italia a fronte dell’invasione dell’Eritrea e il regime proclamò la messa al bando di tutto quello che non si rifaceva alle tradizioni italiane. In un primo momento, nel tentativo di salvare l’associazione, ne cambiarono il nome, tentando di mascherare i riferimenti all’idioma anglosassone. A un velleitario “Concreto Bagpipe Club d’Italia” seguì un più sensato “Reale Cornamusa Club d’Italia” e infine un quasi inattaccabile “Reale Cornamusa Circolo d’ Italia”, sulla scia del Reale Automobile Club d’Italia che per primo aveva adottato “Circolo” al posto di “Club”.

Ma il Regime aveva ormai messo le mani sul RCCI. All’inizio del 1936 fu dichiarato illegale e sciolto d’imperio. A seguito di ciò, tutti i suoi membri entrarono in clandestinità e fecero perdere le loro tracce.

Il Pietri ed il Felicianni però non si demoralizzarono e coraggiosamente proseguirono l’attività dell’associazione. Attrezzarono una sala insonorizzata, fatta con le scatole dell’ova, per esercitarsi in via del Corno, nel centro di Firenze, utilizzando il retrobottega di un maniscalco noto antifascista e soprannominato Maciste. Il consumo smodato di uova per ottenerne le scatole peggiorò le già compromesse condizioni del fegato di entrambi, minato dal lambic. Al danno seguì poi la beffa: le scatole dell’ova non riuscirono a insonorizzare perfettamente il locale ed il capo caseggiato, un certo Galeazzo Cavaciocchi, insospettito dai rumori provenienti dal locale, iniziò a tenere d’occhio i due. Ormai sotto la sorveglianza della milizia fascista Pietri e Felicianni vennero arrestati pochi giorni dopo quando una squadraccia capeggiata da Galeazzo Cavaciocchi fece irruzione nell’appartamento del Felicianni cogliendo i due mentre, con un nuovo e più potente apparecchio radiofonico, ascoltavano la BBC sperando in una trasmissione sul loro amato strumento.

Nello stesso giorno i gendarmi fecero irruzione nel retrobottega e distrussero lo studio; il Cavaciocchi reagì e purtroppo ci rimise la vita.

Tradotti nel carcere fiorentino delle Murate dai Reali Carabinieri furono condannati, dopo un sommario processo, a un durissimo confino in uno sperduto paesino in provincia d’ Isernia. Il luogo era remoto, il paesaggio aspro e selvaggio, dominato dal massiccio delle Mainarde, da cui soffiava un vento gelido che spazzava il paese e si insinuava nelle fessure degli infissi della misera casupola in cui vivevano. Oltre a questo il paese pullulava di zampognari che a parte poche eccezioni suonavano con esasperante regolarità soltanto la nota canzonetta “Marina, Marina” con strumenti particolarmente stonati rendendo cosi ancor più penosa la loro condanna.

Esasperati dall’isolamento, dal clima e da Marina, verso la fine del 1937 decisero di fuggire approfittando dell’annuale esodo natalizio degli zampognari che dal paese scendevano in città per la questua. Ricoprirono la sacca della cornamusa con un vello di pecora e, girati i bordoni verso il basso, cercarono di mescolarsi al gruppo degli zampognari. La cosa era pericolosissima in quanto la processione dei musicanti attraversava le vie del paese sotto l’occhio vigile dei Reali Carabinieri. Inoltre i due non avevano mai imparato a suonare Marina. Decisero di tentare comunque, sperando che le note di Scotland The Brave che provenivano dai loro strumenti camuffati sparissero nel frastuono generale. Il momento peggiore fu quando il brigadiere rivolgendosi al maresciallo disse: “Non trova che quest’anno ci sia qualcosa di “marziale” in questa processione?”

Il maresciallo allora bloccò i due e gli chiese con fare indagatore: “Siete sicuri che questa melodia si possa suonare con la zampogna?” al che Rutilio fu svelto a rispondere “Ci sta, ci sta, ce ‘o provai cu’ fischeddu”. Il maresciallo annuì e con malcelato orgoglio imputò la marzialità alle esercitazioni cui obbligava i paesani durante il sabato fascista e in cui gli sventurati abitanti erano obbligati a marce, ginnastica e perfino al salto nel cerchio di fuoco, per non parlare di interminabili sessioni di guerra con gli zufoli tra i fedelissimi del Podestà e gli affiliati al Circolo Littorio della Zampogna.

Giunti a valle riuscirono a far perdere le proprie tracce e scomparvero.

Da allora nessuno ha saputo più niente di loro. Ci sono solo leggende e voci incontrollate sul loro destino. Per alcuni riuscirono a raggiungere la Scozia e là vissero sotto falso nome (John Burgess e Donald MacLeod) per il resto della loro vita. Per altri si rifugiarono in Bretagna, dove morirono in breve tempo a causa del lambic. Secondo altre voci il Felicianni si ritirò a Tristan da Cuňa a fare il pescatore di gamberi mentre il Pietri raggiunse Cuba dove, dopo aver ritrovato il suo vecchio amico Ernest, sembra che si sia dedicato alla pesca di frodo dei marlin. I più fantasiosi arrivano persino a raccontare di una incredibile battuta di pesca in cui avrebbe catturato un gigantesco marlin che gli squali avevano poi divorato prima che riuscisse a tornare a terra. La verità e che non abbiamo più notizie di loro. Possiamo solo ricordare il loro eroico tentativo di diffondere la cornamusa in Italia e onorare la memoria di questi due eroici precursori.