CEOL MOR – CEOL BEAG

Riceviamo dalla Sicilia, Terra di Pibroch …., e, ringraziando Gianluigi Fanzone, pubblichiamo .


Mi sono imbattuto in questo album una ventina di anni fa, a Genova, in un chiosco di tre metri per tre situato nel centro storico e interamente tappezzato di dischi. A dire il vero, non ho visto materialmente il disco: era pubblicizzato, insieme ad altre produzioni della Temple Records, all’interno di un LP dei Battlefield Band ed è immediatamente entrato a far parte dei miei sogni di collezionista di dischi. Tuttavia, chiedendolo in seguito ad altri negozianti, a Genova e altrove, ricevevo risposte del tipo: “Ma che genere di musica è?” “Guardi nel reparto classica” “Mi dispiace ma è fuori catalogo” (davvero?) e così via. Finalmente, un paio di anni fa, potei averne una copia. E già dai primi ascolti ebbi la sensazione di trovarmi di fronte a un classico, in primo luogo per la limpidezza dello stile esecutivo, tuttora valido a più di vent’anni di distanza dalla sua pubblicazione.

Iain McFadyen sceglie di inserire due pibroch nel lato A del vinile e sei tracce di ceol beag nel lato B: quindi, letteralmente, ceol mor – ceol beag: un titolo semplicissimo che corrisponde pienamente al suo contenuto. Questa scelta consente, a differenza che nel cd, una pausa anche psicologica all’ascolto, a parte il più prosaico vantaggio di scegliere se sentire solo la prima o solo la seconda facciata (oggi lo stesso scopo può essere raggiunto programmando il lettore).

Un classico è anche il repertorio scelto per l’incisione. Vediamo i due pibroch introduttivi.

‘The Old Men of the Shells’ è un cavallo di battaglia di McFadyen: con esso ha vinto numerosi premi. Si dibatte ancora sugli ‘old men’ del titolo: chi erano? Distillatori, commercianti di whisky (anticamente lo scallop shell, la conchiglia del mollusco chiamato pettine, era usato come calice)? Oppure si riferisce ai membri dei clan McDonald e McKenzie, che si scontrarono in una furiosa battaglia presso il Loch Sligachan nello Skye? Piccolo mistero a parte, resta il piacere dell’esemplare interpretazione di un brano pieno di trappole, nelle quali molti rischiano di cadere. A intervalli regolari, il ground e le singlings variations sono scanditi da numerosi ‘double echoes’ su low A e B, croce e delizia di ogni piper che voglia cimentarsi con un pibroch. Il nostro riesce a tirar fuori tutta la bellezza del brano ed esibisce un controllo del tempo e una pulizia del suono davvero unici.

 

‘Glengarry’s Lament’ è un pibroch relativamente recente. L’autore, Archibald Munro, lo compose nel 1828 per commemorare Alasdair Ronaldson Macdonell, quindicesimo Chief of Glengarry, morto quell’anno, presso cui Munro prestava servizio come piper. Personaggio di rilievo della sua epoca, Glengarry sembrava uscito da un romanzo di Walter Scott (incidentalmente, la sua figura gli ispirò il personaggio di Fergus McIvor del romanzo ‘Waverley’): cercò di seguire una ipotetica ‘Highland way of life’ che però non gli impedì di accumulare debiti su debiti; nemico delle trasformazioni e del progresso tecnologico e sociale, si oppose strenuamente alla costruzione del Caledonian Canal, per finire i suoi giorni proprio sul fondo di un canale, scivolando giù da una nave a vapore. Ironia della sorte.

Il Lament si articola in due semplici frasi, variate nelle parti successive (dithis, taorluath e crunluath variations) in maniera che il tema dell’urlar sia sempre riconoscibile. Questa caratteristica è comune ai cosiddetti pibroch primari, i più semplici: semplici per modo di dire, giacché sappiamo che nessun pibroch è semplice! In questo caso, la ‘semplicità’ è riferita essenzialmente alla struttura delle frasi all’interno del ground.
La ceol beag proposta da McFadyen è rappresentativa delle preferenze dell’esecutore: non già delle varie tipologie, che dal retreat alla slow air al competition set sono tutte presenti, ma della musicalità non disgiunta da una tecnica brillante e una diteggiatura complessa.

Non mancano anche qui le curiosità: per esempio, la scelta di tre brani composti da tre pipers dell’Argyllshire per il competition set: ‘Southall’ di John McLellan, ‘Inveraray Castle’ di William Lawrie e ‘Bessie McIntyre’ di William McLean. Né mancano, naturalmente, composizioni dello stesso McFadyen: ”Mary McPherson of Kyle’ e ‘Myles McDonald’s Welcome to Skye’, due marce in 6/8, e la jig ‘Eleanor Hannah’, tutti brani dalla linea melodica fresca e originale nei quali è essenziale più un approccio musicale che una sfrenata agilità per ottenere il massimo del risultato. La sensibilità esecutiva si esprime al meglio nel set comprendente ‘Braigh Loch Iall’ e ‘The Irish Washerwoman’: sono due tunes dall’atmosfera contrastante, lenta e sognante la prima, vivace e scanzonata la seconda, rese entrambe con lo spirito giusto: contrastanti sì, ma perfettamente coerenti.
Insomma, come si diceva prima, un classico, e forse anche di più. Una vecchia battuta del mondo del cinema dice che il classico è quel film che nessuno sopporta ma viene propinato centinaia di volte in tv. In questo caso, invece, non ci si stanca mai di ascoltare il cd, né di scoprire tutte le grandi e piccole gemme che contiene. Chissà quanti altri classici di questo tipo saranno passati per le mani del signor Franco Zanello, in quel negozietto del centro storico di Genova.

 

Si ringraziano Mario Tomasone, Antonello Frisone e Alex Patalani per aver fornito il materiale necessario alla stesura della presente recensione.


http://www.virginmegastores.co.uk/invt/229928

 

il link sopra riprodotto è per chi fosse interessato all’acquisto di questo disco (n.d.r.)