HOME IS WHERE THE VAN IS !

Non sono in grado di dire quale gruppo folk abbia, per primo, inserito una ghb nella sua line-up; di certo, i Battlefield Band sono il gruppo che ne ha sfruttato al meglio le potenzialità espressive, inserendola in un contesto sonoro ricco e vario.

Molti altri, nati successivamente, ne hanno appreso la lezione; ma il gruppo, da sempre capitanato da Alan Reid, ha continuato ad essere un punto di riferimento importante per gli appassionati… e non solo.

È uno dei gruppi folk scozzesi più longevi (nascono nel 1975), e uno di quelli che più di ogni altro ha cambiato componenti nel corso della sua vita: ben quindici. In pratica, tutti.
Alan è l’unico membro rimasto dalla fondazione.

Uno dei pipers più importanti è stato Douglas Pincock, ma in genere la qualità degli esecutori di cornamusa del gruppo è sempre stata molto buona.
Oltre all’attuale, Mike Katz, ne ha fatto anche parte Iain McDonald, fratello minore di Angus e Allan.

Duncan McGillivray, invece, è il piper dell’album in questione, il quarto, uscito nel 1980: colpisce il suo modo di integrarsi con il resto della band. Bisogna comunque dire che i Battlefield hanno sempre avuto la caratteristica e la capacità di creare un’atmosfera gioiosa, fresca e piena di entusiasmo, in cui qualunque musicista può esprimersi al meglio; la loro musica è sempre diversa (arrabbiata, festosa, meditativa…), ma è sempre riconoscibile, e (quel che più conta) accessibile a tutti.

La loro inventiva ha portato a mettere insieme strumenti diversi tra loro, dai tipici fiddle, whistle, Great e Northumbrian Pipe ai moderni pianoforti elettrici, batteria, sassofono e sintetizzatori, senza contare altri strumenti lontani dalla tradizione scozzese vera e propria: chitarra, mandolino, bodhràn, bouzouki… Il risultato finale (testimoniato da decine di dischi) è sempre gradevole ed è un esempio, perfettamente riuscito, di abbattimento degli artificiosi steccati che spesso ostacolano e mortificano la creatività di molti musicisti.

Torniamo a questo ‘Home Is Where the Van Is’. Per ‘riscaldare’ l’ascoltatore, Alan e compagnia propongono un set di tre brani che, secondo un loro stile, vede l’ingresso della bagpipe alla fine di esso.
E infatti, il terzo (‘Malcolm Currie’) è un tune per ghb, scritto dal Pipe Major William Gray dell’Argyll and Sutherland Highlanders… e nel quale Duncan mostra di che pasta è fatto.

Ma Duncan non è solo un piper di prim’ordine. Nelle quattro tracce successive, si esibisce alla chitarra, all’armonica a bocca, al whistle e alla voce; e nella sesta ci dà la prima delle due grandi perle dell’album.
Si tratta di tre jigs tradizionali: la prima, ‘Joseph McDonald’s Jig’, risale al XVIII secolo e il compilatore della raccolta che lo contiene le ha dato il titolo attuale. Originariamente, era strutturata in due parti; Duncan vi aggiunge una terza e una quarta parte.
La seconda jig è ‘The Snuff Wife’. Spiritosamente, nel titolo sono accostate le due cose più vicine al cuore di un Highlander autentico, il tabacco da fiuto (‘snuff’) e la moglie (‘wife’). Dopo le pipes, ovviamente. E McGillivray è abile a farci sentire questo affetto verso tutte e tre le cose.

La terza, ‘Thief of Lochaber’, conclude degnamente un set festoso ed energico. E’ tratta dalla terza raccolta di musica per bagpipe di Donald McLeod, il quale vi ha aggiunto una terza e quarta parte.

Solitamente (altra cifra stilistica della compilazione dei loro album) i Battlefield inseriscono un brano che richiama un preciso evento storico, il che significa un lavoro di ricerca di fonti (spesso poesie prive di un accompagnamento musicale) sulle quali loro stessi, in un secondo tempo, adattano un pipe tune.

E’ il caso di ‘The Boar and the Fox’. Purtroppo, non se ne conoscono le origini: si trova nella raccolta ‘Tales of the Border’ di James Hogg, il quale non fornisce altre indicazioni circa l’epoca di composizione o l’autore.

Né sul fatto che la ha ispirata; si può, leggendo il testo, capire che si tratta di un’allegoria su un omicidio politico (compare un nome, Lord Bruin, ma non basta a rischiarare il mistero) avvenuto chissà quando nella storia scozzese.

Un cinghiale, per ottenere la mano di una volpe, deve portarle il cuore e le teste di tre uccelli; ma, una volta portati i macabri trofei, viene catturato a sua volta e fatto morire dalla volpe stessa, nella sua tana.

Il genio degli arrangiatori consiste nell’adattare un brano dall’andamento dolce, ‘Sleep Dearie Sleep’, su questo testo; ma non una volta sola, bensì due.

Un primo adattamento riguarda il brano che deve accompagnare il canto, e già questo ne stravolge la natura originaria; in un secondo tempo, in coda, il tune viene trasformato in maniera più radicale e diventa un piccolo pibroch, con tanto di urlar e variations.
L’arrangiamento è assolutamente straordinario e ne fa uno dei capolavori del gruppo e, almeno a mio giudizio (ma non credo di poter essere smentito), il punto più alto in assoluto dell’intero album.

La bagpipe ritorna, infine, nella penultima traccia. Si tratta di un set comprendente la successione march-strathspey-reel cui si aggiunge un secondo reel di origine irlandese (la cui tonalità si è dovuta adattare alla scala della ghb, per cui il brano è diventato, come dicono gli stessi musicisti, una grande rogna!).
Questi i brani:

’The Cowal Gathering’; ‘The Iron Man’; Dancing Feet’; ‘Dick Gossip’s Reel’. Anche questo è un set festoso, più ‘convenzionale’ rispetto al secondo ma comunque di buon livello per quanto riguarda sia l’arrangiamento che l’esecuzione.

Ancora due parole su Duncan McGillivray. Ha ricevuto i primi insegnamenti dal padre e da Jimmy McGregor, entrambi Gold Medallists, ed è entrato a far parte del gruppo (primo piper della formazione) con l’album ‘Stand Easy and Preview’, uscito nel 1979/80.

Ha lasciato i Battlefield Band nel 1983, ma, oltre a dedicarsi alla sua fattoria e alla sua famiglia, ha continuato a competere, vincendo nel 1997 la Gold Medal al Northern Meeting di Inverness.

Adesso fa parte di altre due compagini, una delle quali (The Ghillies) si occupa di comporre nuovi tunes in stile antico: una bella sfida, sicuramente resa più facile dall’aver militato (sebbene per soli quattro anni) nel gruppo storico del folk scozzese.