Quaderni scientifici del BIG N.4.04 Il Canto di Dante Ritrovato

Gentili amici, forse non tutti sapete che il Comitato Scientifico del BIG (l’ormai famoso SCI-COM) ha anche una propria sezione di studi umanistici. Orbene: dopo anni di estenuante lavoro da topo di biblioteca il grande dantista tedesco Richard Gutejahre è riuscito a recuperare un prezioso frammento che solo per circostanze fortuite non fu inserito nella Divina Commedia scritta dal Sommo Poeta. E’ con malcelata emozione che ve lo presentiamo nella sua interezza, dopoché il glottologo Albert Steine ne ha meticolosamente ricostruito gli endecasillabi corrosi dall’agire del tempo e dalle macchie di vino presenti sul manoscritto stesso.

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Aprendo l’occhi da sì duro sonno
viddi lo Duca mio sbigottire
pel’ forte vento che spirava attorno

pria di poter pe’quella landa ire
un’alma viva a noi tosto s’appressa
“Chi se’ tu che ancor pria di morire

vaghi solo in questa terra fessa?”
diss’io a quell’ omo vivo per dimanda
ed ello a noi viene, e si confessa.

“Alberto io son da Fontebranda
la dove sul Campo il Mangia svetta
e dopo Montaperti ti comanda.

Quivi mi manda un alma maledetta
a mostrar voi le pene de’ dannati
che la maniera ebbero scorretta.

In quella bolgia sono condannati
per aver fatto schola e ottuso smercio
di caledonici utricoli sbagliati”.

Allor io viddi giù da quello squarcio
della terra grande e assai profondo
i molti che stean nel lago marcio

soffiando dentro un laido sacco sfondo
che non tenea vieppiù l’aere compresso
si’ che il gran vento ne girava in tondo.

Con gran pena m’accosto a lor d’appresso
e ad uno di quei rei stolti dimando
” chi tu sei, e perché soffi si’ oppresso?”

Ed ei, venendo a me greve piangendo:
“il nome dell’apostolo io porto
che capovolto poi morì soffrendo;

per non restar di vil moneta a corto
vende’o le pive a prezzi molto esosi
a qualche rio tapino malaccorto;

diceo di sonar ben pibroch grandiosi
fingendo pe’ insegnar ai poveretti
ignari che ero io dei più spregiosi.

“E tu perché qui sei?” ancor chiedetti
ad un altro che pur soffiava a vòto;
ed ello mi rispose a denti stretti:

“Per avere da luogo assai remoto
fatto venir li peggio d’istrumenti
qui condannato son a eterno moto

soffiando folle tra gravi tormenti;
parmi di Dora tramutare in bava
le acque che da vivo io bevetti”.

Allor colui che ancora vivo stava
e che nella città del palio nacque
con il verbo i meschin così attaccava:

“Non ascoltare chi da vivo tacque
l’ignoranza ch’avea dell’istrumenti
e il loro son che mai a niuno piacque!

Vergogna su di lor e parimenti
su l’altri che pel solo vil metallo
di molti sonator fecer scontenti.

Pari essi sono al can e allo sciacallo
e per l’etternità dovran restare
quivi sempre con il grand’otre in stallo”.

Poscia ciò detto allor potè tornare
nel bel mondo di quei che lieti ancora
potevano sentir e assai sonare.

In cammino partir vistolo, allora
anche noi ci volgemmo a quelle bolge
per ir dove Lucifero divora.

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