INTERVISTA Chiaccherata con Alberto Massi

Una chiacchierata con Alberto Massi …

di Gianluigi Fanzone

(pubblicata anche su CelticWorld :   http://www.celticworld.it/sh_wiki.php?act=sh_art&iart=694&im=1 )

Finalmente un album che colma una lacuna nel panorama della cosiddetta ‘musica di area celtica’.
A Call From Afar” un cd in cui il piper Alberto Massi ci offre un distillato di emozioni con la sua cornamusa, coniugando egregiamente il rigore stilistico e tecnico alla freschezza dell’interpretazione.
E ad ogni ascolto ci vien da dire “ci voleva” !

in primo luogo perché contribuisce a porre lo strumento (affiancandosi in questo agli album solisti di altri grandi piper, scozzesi e non) alla ribalta in un mercato ancora poco abituato alle sue sonorità peculiari;

in secondo luogo perché lo sfronda da tutta una serie di approcci tecnicamente, filologicamente e storicamente scorretti, spesso tollerati da un mercato attento alla resa commerciale di un prodotto anziché alla sua qualità;

in terzo luogo, con questa produzione l’Italia si inserisce a pieno titolo nel mondo del piping internazionale, dopo anni di paziente lavoro sia sul versante della ricerca più puramente musicale che dal punto di vista della diffusione della cultura e del repertorio per GHB. Infine, va sottolineato il background da cui Massi trae ispirazione per il suo lavoro: molti dei brani inseriti nell’album sono infatti ispirati all’Italia ‘Fields of Tuscany’, ’51st Division’s Farewell to Sicily’, in una versione molto particolare, ‘Zito the Bubbleman’ composto dal compianto Gordon Duncan e così via); altri, opera dello stesso Massi, sono un omaggio al BIG (Bagpipe Italian Group n.d.r.) e ai legami di esso con la cultura scozzese: tra questi, il pibroch che dà il titolo all’album (forse il primo brano di questo genere mai composto da un italiano) e la ghost track che impreziosisce il finale del toccante ‘Lament for the Children’ a conclusione del lavoro.
Il libretto, scritto in italiano e in inglese, fornisce una serie di notizie sui brani, sulla storia della cornamusa e sul BIG, l’associazione di cui il musicista senese è membro e ‘guida artistica’ (di fatto, un vero e proprio maestro).

Il risultato complessivo è tanto più sorprendente se si pensa che il solista è un ‘toscanaccio’ solo apparentemente lontano dalla cultura scozzese.

In realtà, Alberto Massi testimonia, con questo suo primo album solista, quali risultati si possono raggiungere quando a guidare le dita di un piper sono la passione, l’amore e la tenacia, ma soprattutto il rispetto richiesto da uno strumento musicale e dal suo repertorio. Indipendentemente da dove egli sia nato.

Alberto Massi, senese, classe 1960, ha iniziato lo studio della cornamusa grazie a Riccardo Bonanni e Francesco Focardi, due grandi appassionati toscani; in seguito, seguendo gli stage del maestro bretone Bruno Le Rouzic, con cui ha poi proseguito gli studi recandosi in Bretagna per seguire corsi intensivi.

La prima visita in Scozia è del 1997; negli anni successivi è divenuto regolare visitatore del Piping Centre, giustamente considerato l’accademia del piping contemporaneo, ricevendo lezioni da maestri del calibro di Willie Morrison, Colin McLellan, Chris Armstrong e in particolare dal grande Roderick MacLeod. Nel 2003 ha partecipato a Edimburgo alla competizione internazionale di pibroch “Archie Kenneth Memorial Quaich” classificandosi al primo posto.

La sua attività musicale spazia dall’insegnamento ai concerti alla saggistica: il tutto sempre sotto l’egida del BIG, l’associazione che in Italia raccoglie un gran numero di appassionati della Great Highland Bagpipe preoccupandosi di garantire il corretto approccio tecnico e culturale allo strumento.


D.: Alberto, un disco di cornamusa scozzese italiano…non siamo un po’ “fuori zona”?

R.: La Great Highland Bagpipe è uno strumento che affonda le sue radici nelle terre di Scozia, questo è ndubbio. Ma ormai i “rami” di questo grande albero si sono sviluppati in ogni continente, e questa cornamusa è divenuta quasi di fatto l’ambasciatrice nel mondo degli aerofoni a sacco. Naturalmente la sua presenza in aree non storicamente colonizzate dai britannici è ancora marginale, ma decisamente in grande sviluppo.

D.: Anche in Italia si sta verificando questa crescita di interesse?

R.: Indubbiamente. Quando io ho iniziato lo studio della GHB, nei primi anni ’90, gli appassionati si contavano sulle dita delle mani. Oggi c’è una Mailing List a cui sono iscritte quasi 200 persone, 4 pipe bands, una rete di scuole estesa su buona parte del territorio, un raduno annuale che presenta grandi artisti agli appassionati italiani, oltre a una serie di piccole realtà locali di cui a volte si conosce l’esistenza solo per caso. Credo che il merito di questa crescita vada attribuito in larga parte alla passione dei fondatori del B.I.G., il Bagpipe Italian Group, che ha dato a tutti, senza scopo di lucro, la possibilità di avvicinarsi a questo affascinante mondo.
D.:
Se qualcuno dei nostri lettori volesse aggregarsi a questo gruppo cosa deve fare?

R.: Basta andare sul sito www.cornamusa.org Da li è possibile prendere le prime informazioni e iscriversi gratuitamente alla Mailing List, entrando così in contatto con gli appassionati più vicini.

D.: Torniamo al tuo cd. Il titolo “A Call from Afar” cosa vuole esprimere?

R.: La presenza di una attenzione puramente musicale a questo strumento e alla sua cultura anche lontano dalla Scozia. La GHB a mio parere soffre ancora di una forte collocazione iconografica che ne limita , anziché favorirlo, lo sviluppo. La domanda ”ma perché non hai il gonnellino” è un classico per chi solitamente si esibisce in concerto. Quindi “Un richiamo da Lontano” esprime questa lontananza dalle fonti culturali primarie ma anche rivendica la volontà di partecipare alla esposizione artistica della sua musica.

D.: Qual’è l’idea che sta alla base del cd?

R.: Ho cercato di raccogliere il maggior numero possibile di brani che avessero delle connessioni con l’Italia. Come sai, la GHB ha una musica propria, e assai di rado vi si eseguono melodie pensate per altri strumenti. Questo ha creato un impressionante repertorio di circa 10.000 brani, e alcuni di essi sono legati all’Italia. Molti provengono dal periodo della II Guerra Mondiale, quando le truppe scozzesi giocarono un ruolo decisivo nella guerra di liberazione italiana. Ho poi affiancato a questi brani alcune mie composizioni.
D.:
Il cd, eccezion fatta per un paio di “sorprese” è interamente solista. Non temi che questo lo renda un po’ indigesto?

R.: Onestamente non mi interessa. Credo che di prodotti usa e getta ve ne siano fin troppi in questo mercato. Vorrei che il mio cd venisse ascoltato attivamente, non mentre si spazza o si gioca a carte. Mi piacerebbe che la musica riprendesse il suo posto all’interno delle nostre giornate, come protagonista e non come sottofondo. Detto questo, io credo fermamente che questo strumento riesca ad esprimersi compiutamente solo in una esecuzione solistica, nella quale sia possibile comprendere appieno le interazioni armoniche tra i bordoni e la melodia. Questo non significa che non ci possano essere positive interazioni con altri strumenti, ma lo ritengo un ambito decisamente secondario.
D.:
  Ho visto che all’interno vi sono ben due pibroch, la forma musicale arcaica, strettamente legata all’epoca dei clan. Brani lunghi e di difficile ascolto. Anche questa scelta appare poco “commerciale”.

R.: Di commerciale nel mio cd c’è piuttosto poco… so benissimo di aver prodotto un’opera “di nicchia”, con un bacino di utenti assai ridotto. Ma la mia volontà era quella di realizzare una tangibile testimonianza dell’esistenza di un piping italiano, rispettando lo strumento, la sua musica, e suggerendo al contempo una sua piena capacità di svincolarsi dagli aspetti più istrionici che sono presenti nell’immaginario collettivo. Il pibroch, poi, è il genere musicale che amo di più; in assoluto e vorrei presentarlo al più alto numero possibile di appassionati, perché sono convinto delle sue enormi capacità espressive ed emotive. Di nuovo, l’invito a ascolto attivo e consapevole. So che si parla di numeri ridicoli, ma l’aver già superato le 500 copie vendute mi sembra il segno di una scommessa vinta. Credo che la gente cominci ad aver voglia di ritornare a crescere anziché continuare un livellamento verso il basso che ha prodotto, in nome del consumo e del profitto, un deterioramento artistico senza precedenti.

D.: Veniamo a te. Per presentarti ti faccio la domanda più semplice: chi sei?

R.: Sono un appassionato di cornamusa scozzese che negli anni, quasi senza accorgersi, si è trovato ad occuparsene a tempo pieno. Ho iniziato con gli amici del B.I.G., poi ho studiato con Bruno LeRouzic, grande suonatore Bretone, ho seguito corsi in Scozia sino a diventare allievo del grande Roderick MacLeod, uno degli artisti più influenti nel piping contemporaneo. Ho conseguito i Performer, Senior e Tutor’s Certificate presso l’Institute of Piping e sono membro della Competing Pipers Association. Seguo come docente i corsi promossi dal B.I.G., che nel 2006 vedono la presenza di 60 allievi in 6 diversi siti (Verona, Bologna, Roma, Isernia, Trento, e Bellinzona in Svizzera), faccio concerti in tutta Italia, come solista e come guest di gruppi del calibro dei Birkin Tree, Whisky Trail e Fianna, e collaboro con la City of Rome Pipe Band per l’aspetto tecnico e didattico. Sono e sarò sempre uno studente di piping, un’arte difficile che non finisce mai di stimolarti e di metterti alla prova. So di non essere un virtuoso dello strumento ma mi auguro di aver prodotto un cd col quale sia possibile godere appieno delle grandi capacità espressive di questo strumento, anche grazie a un libretto che ho voluto ricco di spiegazioni e riferimenti utili.