Gordon Duncan: “Just for Seumas”

un ricordo/recensione del grande piper e compositore

Di lui Hamish Moore ha detto: ‘This man is precious and should be one of Scotland’s living national treasures’; a questo, e ad altri giudizi altrettanto entusiastici, si sono tuttavia affiancate le critiche, a volte feroci, sul suo piping.

A poco meno di due anni di distanza dalla sua tragica morte, avvenuta il 14 dicembre 2005, Gordon Duncan è un personaggio che continua a porre interrogativi e il suo approccio innovativo nella composizione continua a far discutere.
Non c’è dubbio infatti che sia le interpretazioni di brani tradizionali che le composizioni originali abbiano un valore musicale assoluto; la sua tecnica funambolica non è mai gratuita, né è stata mai usata per dimostrare la sua capacità di far volare le dita sul chanter e farle atterrare sul posto giusto. Al contrario, rivela una padronanza dello strumento unica, capace di far risaltare ogni abbellimento, ogni nota e a caratterizzare un brano nelle sue sfumature interpretative.

In una parola, suonava da dio.

Tuttavia, molti puristi hanno storto il naso di fronte a certi suoi tunes, giudicati negativamente in maniera perentoria. I giudizi espressi sono stati profondamente ingiusti; e tanto il Nostro ebbe a soffrirne, se a soli 41 anni decise di porre fine ai suoi giorni, nel più totale isolamento della sua casa di Pitlochry e sopraffatto da frustrazione, droga e alcool. In realtà (e ben pochi lo capirono subito), Duncan è stato uno sperimentatore di altissimo livello. Inizialmente noncurante delle critiche, cominciò a dare una fisionomia diversa alla bagpipe, giungendo ad affiancarle sintetizzatori e altri strumenti ‘esotici’ per l’accomagnamento (bongos, congas, djembé, oltre al più ‘mediterraneo’ bouzouki): la stessa operazione, portata avanti alcuni anni dopo, estremizzata e superata, in questo tipo di ricerca, dall’invenzione della bagpipe elettronica multitimbrica, ha permesso a Hevia di sbancare le classifiche mondiali; ma Hevia traccia un solco in una tradizione totalmente differente e inaugura, così facendo, un percorso inedito; in Scozia, una cosa simile viene invece accettata con minore entusiasmo, data anche la considerazione in cui viene tenuta la Great Highland Bagpipe.

Coloro che si scandalizzarono di fronte a un personaggio originale come Duncan, non capirono che i tempi cambiavano e che qualcuno in grado di traghettare lo strumento fuori dalle regole rigide del piping doveva, prima o poi, venire fuori.

Beninteso, per far questo ci vuole arte, bisogna esserne veramente capaci: e Gordon Duncan lo era.

Inoltre, già da tempo lo scenario folk scozzese ha visto emergere gruppi (dai Battlefield Band ai Tannahill Weavers) in grado di mescolare e affiancare, con assoluta perizia e maestria, fiddle, bouzouki, chitarra, vari tipi di bagpipes, tastiera elettronica e, a volte, batteria.
Molti piper hanno portato la loro esperienza di virtuosi di altri strumenti a fiato (whistle) e altri aerofoni tradizionali (small pipes, northumbrian pipes e via discorrendo), senza per questo subire l’ostracismo che ha fatto invece soffrire Gordon Duncan.

Dalla sua discografia, non molto ampia, abbiamo scelto ‘Just for Seumas’, un lavoro del 1994 edito dalla Greentrax.
Molte delle cose fin qui dette sono facilmente individuabili: in primo luogo, il fatto di suonare da dio e la qualità degli arrangiamenti.

Nelle tredici tracce che lo compongono troviamo una bellezza di timbro (dovuto allo strumento stesso, un Glen’s del 19° secolo cui è stato montato un chanter Shepherd in legno) esaltato dalla tecnica precisa del piper. E ad ascoltare il cd, si nota anche l’originalità dell’accompagnamento di Ross Kennedy al bouzouki.L’aspetto ‘estroso’, inviso a molti, dell’arrangiamento duncaniano viene fuori nell’ultima traccia: il set che dà il nome al lavoro è costituito da tre reel originali legati da un accompagnamento di basso elettrico, sintetizzatore, djembé e congas (più un drum corps di quattro elementi). Chi arriva a questo punto e non è preparato può essere spiazzato dal ritmo sostenuto da questi strumenti, soprattutto dopo quasi un’ora di piping condotto, in qualche modo, ‘entro i limiti’; né riesce a trovare il pibroch (‘Lament for Mary McLeod’) indicato nella track list del libretto interno. Eppure c’è. Le prime due battute del ground, pochi secondi appena, sono nascoste nella seconda voce che accompagna la principale nell’esecuzione di ‘The Thin Man’.
E’ lo stesso Duncan a suonare, ‘sdoppiandosi’ e sovrapponendosi a se stesso in questo set come ha già fatto in altri set dello stesso album.

E’ vero, sembra di sentire Hevia; ma la perfezione dell’esecuzione lo assolve dall’accusa di aver ‘commercializzato’ il suono della GHB e, soprattutto, dovrebbe assolvere le coscienze di chi lo ha emarginato, senza riconoscergli i giusti meriti di piper e compositore.
Alberto Massi ha inserito il brano ‘Zito the Bubbleman’ nel suo ‘A Call from Afar’; si potrebbe dire che anche gli altri album di Duncan, con i loro traditional e le composizioni originali, possono essere considerati dei ‘richiami da lontano’, da un mondo perennemente in movimento che lui si era assunto l’obbligo di esplorare; e forse l’epitaffio migliore lo ha scritto proprio Alberto nel ricordare lo sfortunato collega:

“Davanti ai grandi viaggiatori, anche se non ne comprendiamo il cammino, dovremmo sempre toglierci il cappello. Giù il cappello, per Gordon Duncan”.