Di pakistane e di cialtroni

L’ argomento pakistane ci segue come un’ombra. Chi non c’è cascato? Poiché la questione è tornata di attualità, vi invito a leggere il nuovo episodio della serie “L’ignoranza fa ingrassare (gli altri)“ dal titolo ‘Di pakistane e di cialtroni’: protagonisti il sottoscritto, un piper, un sedicente esperto; due negozianti. L’azione si svolge a Palermo nel 2001.

Avvertenza: questa storia è apparsa, in formato più ridotto, in mailing list diverso tempo fa; chi l’ha già letto, sia paziente; ho però la speranza che possa tornare utile a tutti. Naturalmente, i nomi del piper e dell’esperto saranno di fantasia.

In una bella giornata, andando verso il Museo Geologico per una visita con un amico, passai davanti a un negozio di strumenti musicali che esponeva una cornamusa. Entrai per chiedere il prezzo: 450.000 lire. Mica male, ma non sapendone niente lo presi per buono. Uscii, visitai il museo, tornai a casa pensando e ripensando ad essa. Quando, dopo un paio di giorni, ritornai in negozio, il commesso mi diede alcuni ragguagli.

– E’ stata fabbricata in Pakistan. Le producono in serie, non sono prodotti artigianali. Ne ho vendute quattro o cinque, sai, il successo di Hevia… e così le comprano, per sé, per fare un regalo…

Ok, ma avevo bisogno di qualcuno/qualcosa che mi spiegasse come far suonare quell’ammasso di tubi. Sapete come funziona, prima ti accaparri quell’oscuro oggetto del desiderio, poi cerchi un maestro o un manuale. Altrimenti, l’aggeggio rischi di non trovarlo più. E poco importa se è stato in vetrina sotto il sole chissà quanto tempo, e te l’hanno venduta dentro un sacchetto di plastica: in quel momento ti importa entrarne in possesso; tutto il resto passa quasi in secondo piano.

Fu così che dopo qualche altro giorno (gli impegni di lavoro danno al tempo un senso di esasperazione insopportabile) il tipo del negozio mi vendette il tutor book del P/M Bill Cleary. Non è brutto, tutto sommato; ma sembra fatto per chi abbia già una certa esperienza col practice. Facile intuire: non ottenni gran che.

Per un po’ entrai nella fase delle mucche tristi. Ogni tanto, nella cittadella universitaria mi esercitavo a trovare un suono stabile nei bordoni, ma ancora dal charter non usciva alcun suono. Ancia ancora dura, ne ero convinto. Tornai così da quel negoziante.

– Non conosci nessuno che dia lezioni di cornamusa?

– No, no, – rispose con l’aria di chi dice: ‘Ma che razza di domande fai?’

– Magari qualcuno che l’ha comprata ne sa qualcosa… che ne dici?

Stessa espressione sul volto.

A chi chiedere? Mettere un annuncio sul giornale? Poteva essere un’idea. Informarmi al Conservatorio? Una mia collega aveva il marito musicista, si informò e venne fuori che non c’era nulla. Appendere un avviso nella bacheca di un negozio di dischi nel centro? Eh, questa era già un’idea migliore. Tanta gente lascia messaggi per la compravendita di strumenti, o la ricerca di musicisti per una band.

E perché non cercare in Internet? Idea ancora migliore. Ed ecco il sito. Alcuni (i primi) erano in inglese, ma finalmente c’era quello in italiano. Era pure l’unico, sicuramente non c’erano tante alternative. Navigai un po’ e trovai la pagina ‘Scrivimi’. Lo faccio subito, perdinci! Spiegai la situazione al piper gestore del sito, Paolo Mazzamuti; il quale, con molta cortesia, mi rispose il giorno dopo.

Il suo messaggio era incoraggiante.

– Non ti preoccupare, capita sempre all’inizio di non riuscire a far suonare la cornamusa. Quella che hai comprato va bene, un buon compromesso qualità/prezzo: anch’io, quando cominciai a suonare, avevo una pakistana…

Lo scambio di mail fu breve. Mi promise l’invio di materiale via posta elettronica per riuscire a lavorarci su. Aspetto ancora quel materiale, ma questo è solo un dettaglio.

Per non restare con le mani in mano, continuai a cercare in città. Entrai così in un altro negozio, più grande, libreria, music shop e strumenti, tutto in uno. E anche là c’era una pakistana, più bella della mia (almeno, i mounts, i ferrules e le ring caps erano in metallo). Anche a lui chiesi qualcosa, sostanzialmente le stesse cose (che potevo chiedere?); ma, a differenza dell’altro, mi diede un nominativo, un indirizzo e un numero di telefono.

– E’ Manlio, l’esperto che testa le cornamuse che vendiamo.

Bene! Vuol dire che questo signore, che abita a Enna ma lavora a Palermo, è facilmente reperibile, posso disturbarlo per avere consigli, chissà, forse anche lezioni…

Presi un appuntamento e, il giorno stabilito, lo incontrai. Eravamo alla Stazione Centrale perché doveva partire e quindi approfittava dell’attesa del treno per darmi alcuni consigli. Anche lui mi disse che si trattava di una pakistana (ormai l’avevo capito anch’io!) e che c’erano degli accorgimenti da seguire.

Ecco il primo.L’ancia del charter, così com’era, non andava. Si doveva lavorare con una lametta da barba (o comunque un oggetto tagliente di precisione) fino a ottenere, nella parte superiore, uno spessore piuttosto sottile, tanto da renderlo più chiaro in controluce. Quasi trasparente, insomma. Questa zona dell’ancia, così trattata, doveva avere la forma di un’unghia. Siccome Manlio aveva già una certa pratica, si offrì di fare il lavoro.

Secondo consiglio. Mi disse di imparare il soffio circolare, molto importante per lo studio (francamente, non ho mai capito perché).

Terzo. Al momento dell’acquisto, la sacca era rivestita di un sacchetto di cellophan che tolsi subito, pensando che fosse una semplice protezione. E invece, avevo fatto male: perché quel cellophan protegge la sacca dagli sfregamenti con il tartan, per cui era praticamente intoccabile.

Quarto. Mi fece notare che esiste uno strumentino, una specie di ciaramella, di solito accoppiato alla paki per lo studio. Mi disse che in realtà non sarebbe servito a niente. Parlava del practice: lo avevo visto esposto, versione ‘regular’: in quel momento non sapevo quale potesse essere la sua utilità. Ma siccome Manlio mi diceva che non serviva…

Quinto. Le ance dei bordoni dovevano essere regolate. Anche lì, avrebbe provveduto lui: bastava mettere un filo di capello sotto la linguetta (erano ance di canna) per stabilizzarle. Però…

… però non tutti suonano con tutti e tre i bordoni insieme! Solo i grandi solisti lo fanno, perché sarebbe troppo difficile, soprattutto per le pipe band.

– E sai perché i musicisti di una band marciano in fila per tre? Perché la prima fila suona con il solo tenore esterno, la seconda con il bordone centrale, la terza con il basso e così via, in modo da creare un suono avvolgente mentre marciano.

Bene, mi pareva di essere abbastanza edotto. Gli lasciai la paki e la settimana successiva me la rese. Eravamo sempre alla stazione (doveva sposarsi, quindi tornava spesso a casa) e mi diede il sacchetto con lo strumento ‘preparato’. In effetti, lo aveva preparato davvero bene, se era riuscito a  infilare la cover (dopo aver rimesso il cellophan) al rovescio, così che il blowpipe usciva verso l’esterno (a sinistra per i non mancini) e i due bordoni tenori erano stati inseriti negli stock sbagliati, così che mi si incrociavano davanti la faccia.

Il tutto era condito da un effluvio di mandorle amare che era una caratteristica della sacca sin da quando l’avevo comprata.

Ancora per qualche tempo tornai dal negoziante per chiedere un set di ance, ma non comprai più niente qua in Sicilia.

Almeno, nessuno mi ha chiesto altri soldi oltre quelli già spesi per la paki e il manuale.

Ad uno stage di didattica dell’astronomia conobbi un collega che conosceva il BIG (in realtà per sentito dire, lui fiorentino, e che quindi non sapeva dirmi altro), poi lessi della prima edizione del Gathering sulle pagine di una rivista specializzata, scrissi al buon Duilio, senza nulla pretendere sia lui che altri mi hanno dato consigli, informazioni e quant’altro; infine, Franchino Calanca eseguì un’operazione chirurgica sulla paki rendendola quasi accettabile come primo strumento per esercitarsi, me ne costruì una che adoro e alla fine…

… alla fine siamo qua, l’avventura continua.