I Romani ritenevano che le proprie cornamuse, note come “tibiae utricularis”, fossero originarie della Grecia ma sembra che esso fossero di provenienza siciliana (e, quindi, di area appartenente alla cosiddetta Magna Graecia) o etrusca.
Una prova “figurativa” dell’esistenza a Roma della cornamusa è costituita dalla rappresentazione di essa su di una moneta del periodo neroniano.
Lo stesso imperatore Nerone è stato indifferentemente “presentato” nell’atto di suonare una cetra o una sorta di cornamusa durante l’incendio di Roma e probabilmente, benchè la cetra risulti prevalente nell’iconografia, non sapremo mai di quale strumento effettivamente si trattasse.
Svetonio indica l’imperatore come suonatore di “tibia utricularis”, quindi di cornamusa…
In ogni caso appare necessario sottolineare che l’uso di tali termini latini non necessariamente implica un’identità tra ciò che quei termini indicavano e ciò che noi oggi chiamiamo “cornamusa”.
Verso la fine dell’ottavo secolo a.C. sembra esistesse anche una sorta di congregazione (o di sindacato) di suonatori denominata “collegium tibicinum” che, di fatto, gestiva il “piping” nella città di Roma in regime pressochè monopolistico.
Sembra, addirittura, che l’introduzione di una norma limitante a 10 il numero di “tibiae utricularis” utilizzabili in occasione dei funerali abbia provocato uno sciopero di “categoria”…
Da alcuni documenti è possibile ipotizzare che “pipers” fossero anche regolarmente al servizio dello Stato e utilizzati in particolari funzioni e occasioni formali.Lo strumento era suonato da uomini e donne, anche se quest’ultime si dedicavano prevalentemente a strumenti più piccoli e di foggia poco nota, chiamati “tibicina” e “tibia serrana” .