Capire il pibroch (prima parte)

di Barnaby Brown

Questo saggio è contenuto nel libro che accompagna l’album “Donald MacPherson, a Living Legend” pubblicato dalla casa editrice/discografica che fa capo all’Autore.

La traduzione (eccezionale!) è a cura di Alberto Massi ed era destinata a comparire sul libro a corredo dell’album insieme alle traduzioni in altre lingue.
Purtroppo, e sottolineiamo purtroppo, ciò non è stato possibile per ragioni tecniche. (n.d.r.)

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Il pibroch è l’icona musicale di un mondo assai lontano da noi, quello delle Highlands di Scozia nel periodo d’oro dei Clan, compreso tra il XVI e il XVIII secolo. A quel tempo ed in quei luoghi la cornamusa  era lo strumento principe, ed i pipers facevano parte dell’élite sociale. Si parlava il Gaelico; ed il pibroch ne costituiva il corrispondente linguaggio musicale. (Mi chiedo allora quanto del naturale feeling che Donald MacPherson possiede nei confronti di questa musica gli derivi da sua madre, anch’essa di lingua Gaelica, che però si metteva a parlare in Inglese in presenza di Donald, perché tra il 1750 ed il 1970 i Gaelici avevano considerato l’Inglese un migliore investimento per i propri figli).

Un approccio musicale ortodosso, che si basi sui princìpi della musica classica o di quella popolare, non potrà prepararci adeguatamente alla vastità strutturale del pibroch ed al suo esclusivo fraseggio. Conosciuto come ceol mor , “grande musica”, il pibroch affonda le sue radici nel Gaelico, la lingua parlata nelle Highlands.


Difficilmente può essere ben interpretato da chi non abbia mai udito cantare le grandi canzoni e raccontare storie epiche nel tipico stile di quelle terre. Oggi è possibile ascoltare il sean nòs,  il “vecchio stile” , soltanto in registrazioni di archivio1, poiché le canzoni delle Ebridi vengono ormai accompagnate da più di un secolo con musiche in stile moderno, che ne hanno snaturato l’essenza.

Eppure, è stato proprio il sean nòs l’universo ritmico in cui il pibroch si è cullato. E’ uno stile in cui la melodia si rende flessibile per adeguarsi ad un numero prestabilito di accenti, e non è quindi presente un ritmo regolare.
Ciò che un Gaelico intende come un 3/4 può essere invece percepito come un 4/4 dal nostro orecchio. Una educazione musicale di tipo classico risulta così quasi controproducente, in quanto le dinamiche espressive del pibroch sono estranee alla musica occidentale, quella che tutti noi conosciamo.
Certo, vi sono stati suonatori di Virginale e di Viola da gamba alla corte dei MacLeod a Dunvegan, e senza dubbio i MacCrimmon, piper ereditari di quel clan per sei generazioni, ritenuti i più importanti compositori di pibroch, sono stati influenzati dalla dominante cultura barocca dell’epoca; ma, come dimostrato proprio dalla sua struttura, questa musica ha preso origine e si è sviluppata interamente all’interno delle tradizioni vocali e strumentali al tempo presenti in Scozia ed Irlanda.

Lo stesso non può dirsi della ceol beag, la “piccola musica”, quella che oggi costituisce il repertorio delle pipe bands, poiché essa rappresenta il prodotto di un’era successiva, legata alla musica tonale. In un contesto dominato da tastiere e strumenti a corda, la Great Highland Bagpipe ha una espressività troppo primitiva.
Solo nel mondo “pre-tonale” del pibroch essa è in grado di riempire l’intero spazio-tempo con espressioni musicali di altissimo livello.

Il primo segreto della grandiosità del pibroch è la parsimoniosità con cui sono utilizzati i diversi suoni.
Nella Great Highland Bagpipe sono presenti solo nove note; utilizzandole tutte fin dall’inizio, sarebbe impossibile creare in seguito un contrasto espressivo. Così, nel pibroch le note sono usate con frugalità, in modo tale che l’orecchio dell’ascoltatore sia stimolato dall’arrivo di una nota nuova, che di fatto cambierà il “tono” della musica in quel momento.
Ogni tono è formato dalla intensità relativa di ciascuna nota all’interno del brano. Piccole frasi musicali, che possiamo chiamare “sonorità”, delineano all’interno questa struttura così come i singoli colori determinano il pattern del disegno di una stoffa.


Quando si riesce a  riconoscere acusticamente questi “colori”, l’ascolto di un pibroch diviene realmente piacevole, perché la trama può essere seguita, l’opera compresa.