CAPIRE IL PIBROCH (seconda parte)

di Barnaby Brown

Questo saggio è contenuto nel libro che accompagna l’album “Donald MacPherson, a Living Legend” pubblicato dalla casa editrice/discografica che fa capo all’Autore.

La traduzione (eccezionale!) è a cura di Alberto Massi ed era destinata a comparire sul libro a corredo dell’album insieme alle traduzioni in altre lingue.
Purtroppo, e sottolineiamo purtroppo, ciò non è stato possibile per ragioni tecniche. (n.d.r.)

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Piuttosto che limitare lo strumento ad una sola tonalità, i bordoni sono una importante sorgente di espressione, poiché creano alternativamente tensione e rilassamento quando la melodia passa da una sonorità “1” che è in accordo con  la nota principale emessa dai bordoni, “A”, e con gli armonici ”C” ed “E”,  e la  sonorità “0”, discordante perché vi si enfatizza la nota “B”. La nota di arrivo di ciascuna sonorità è sottolineata, mentre l’intensità relativa di ciascuna nota è simbolizzata dal tipo di carattere.

 

Il “tono” non rappresenta quindi la tonalità, il modo o la scala del brano, poiché esistono infiniti “toni” possibili. Pur avendo a disposizione limitate risorse melodiche, i compositori di pibroch sono in questo modo riusciti a creare sempre nuove combinazioni. La parola “tono” rappresenta qui la libera traduzione del termine blas (sapore, gusto), utilizzato per la prima volta da Joseph MacDonald nel suo Compleat Theory (1760 circa):

 

“…E’ sorprendente come essi abbiano saputo dare ai Lament un tono funebre, completamente distinto dal resto dei brani. In numerosi passaggi al loro interno si trovano espressi sentimenti di lamentazione e malinconia; e davvero è difficile immaginare che altri, persino i geni musicali di maggior  fama, possano riuscire a rendere più espressiva una composizione di così limitate possibilità”.

 

Il “tono funebre” a cui si riferisce viene creato con un uso massiccio di sonorità costituite in prevalenza da  note alte. Nello schema dei “toni” dei pibroch qui eseguiti si noterà come le note alte, “F”, “high G” ed “high A”, siano enfatizzate solo nelle tracce 3 e 4, i due Lament.

 

Schemi diversi di costruzione  rinforzano la differenziazione in “tono” tra i Lament e gli altri generi. I Lament tendono ad essere più lirici, mentre altri lavori, come Mary’s Praise e Blue Ribbon, tendono ad essere più geometrici. Mentre i primi  tendono ad avere un tema lungo e poche variazioni, i secondi focalizzano lo sforzo creativo nello sviluppo e nel cambiamento dello schema, non nella melodia in sé. L’esecuzione di questi schemi intricati equivale ad enunciare una formula magica, e l’ascoltatore ne rimane come incantato.

 

Nel 1700 la trasmissione orale comprendeva circa 300 pibroch, che sono giunti fino a noi grazie a preziose anche se controverse opere di trascrizione su spartito realizzate nella prima metà dell’800. Prima della musica scritta, i pipers si affidavano a schemi mentali per comporre o memorizzare un brano; tali schemi possono essere oggi usati dagli ascoltatori per seguire l’intera “storia musicale” del brano. In molti casi, lo schema è facilmente identificabile poiché l’ alternanza delle diverse sonorità è ben marcata.

 

Più di metà dell’intero repertorio e cinque dei lavori presenti in questo disco (l’Autore si riferisce ai brani contenuti nell’album/libro “Donald MacPherson a Living Legend” – n.d.r.) sono basati sul cosiddetto schema “a intreccio”:

 

0 0 1 0

1 1 0 1

 

Le due sonorità 0 ed 1  sono intrecciate insieme a formare l’ ùrlar (letteralmente la “base”), costituito da  otto sezioni, che chiameremo “Ottavi”.

Notate come  lo schema della prima metà dell’ùrlar sia poi rovesciato nella seconda. Nel caso di Mary’s Praise e  nell’Urlar di Blue Ribbon la struttura è tutta qui: le frasi sono brevi e la creatività del compositore si esprime attraverso un fantasioso viaggio attraverso le variazioni del tema, che viene espresso per la prima volta, anche se in modo nascosto, già nell’ùrlar.

 

In MacCrimmon’s Sweetheart, The Big Spree e Donald Gruamach’s March, ognuna delle otto parti dello schema è più lunga ed il quinto Ottavo viene modificato allo scopo di caratterizzare maggiormente l’ùrlar. In MacCrimmon’s Sweetheart, e nelle variazioni di Blue Ribbon una lieve modifica del quinto Ottavo riesce a creare un legame con l’Ottavo successivo.

Negli altri due brani una ulteriore alternanza di sonorità nel primo e nel quinto Ottavo aumentano il senso di rima tra le due linee, con una tecnica simile a quella usata dai bardi. In assenza di terminologia Gaelica e in rispetto del lavoro compiuto dal generale Thomason nel 1890, questo schema può essere chiamato “Ben Intrecciato”:

 

01 0 1 0

10 1 0 1

 

A differenza degli arpisti irlandesi e gallesi del Medioevo, per i quali era obbligatorio terminare “con la dolcezza della sonorità gentile”, i pipers del XVII secolo non avevano remore nel terminare con una dissonante ed instabile sonorità “0”.2
Nei lavori qui presentati, il senso di chiusura è particolarmente accentuato in Big Spree, ove un tocco di lirismo nell’ultimo Ottavo  completa emotivamente l’intero ùrlar – una licenza poetica che poi scompare nelle successive variazioni.