Dodici pipers rendono omaggio a uno dei maggiori pipe makers dei nostri tempi. Anzi, no. Dodici pipers rendono omaggio alla conclusione dell’apprendistato settennale del figlio di uno dei maggiori pipe makers dei nostri tempi e al suo ingresso nella ditta di famiglia. Anzi, no. Dodici pipers rendono omaggio all’antica tradizione musicale e culturale scozzese, esibendosi in strumenti realizzati da uno dei maggiori pipe makers dei nostri tempi, in un’operazione che ha molto più del semplice revival.
Questo cd della Greentrax si può ascoltare a tre livelli diversi, perché in fondo è tutte queste cose insieme.
Hamish Moore (uno dei maggiori pipe makers dei nostri tempi e nostro ospite, quest’anno, in due occasioni consecutive: Spring School e Gathering) ha un figlio, Fin, che ne ha seguito le orme e, benché giovanissimo, è già una figura notevole nel campo dell’esecuzione e della costruzione di vari tipi di cornamuse della tradizione scozzese.
L’idea di realizzare un album sulle cornamuse di sua produzione e dedicarlo poi a Fin è venuta ad Hamish, come spesso gli capita, durante il viaggio di ritorno da una visita ai parenti nel North Berwick. Rispetto a un’incisione in studio, una ripresa dal vivo ha qualcosa in più, quel qualcosa di indefinibile che si instaura tra l’esecutore e il pubblico, ben difficilmente realizzabile in sala d’incisione ma (per contro) ben avvertibile da chi ascolta il cd. Hamish concepisce dunque un progetto nel quale una serie di musicisti di alto livello si esibisce su strumenti costruiti da lui, quegli stessi strumenti che Fin stesso ha visto nascere dalle mani del padre. Ian Green, produttore della Greentrax, accoglie l’idea con entusiasmo e il 31 ottobre 2003, alla Pitlochry Town Hall, viene registrato un concerto live alla vigilia del Glenfiddich Championship.
L’atmosfera, come lo stesso Hamish scrive nelle note di copertina del cd, è elettrizzante e la sala diviene teatro di uno spettacolo magnifico e magico al tempo stesso. Anche la risposta del pubblico è entusiastica, i biglietti vengono venduti nel giro di pochi giorni. Del resto, bastava leggere i nomi degli artisti invitati per convincersi a non disertare un evento simile.
L’album si apre con un’esecuzione dello stesso Fin, accompagnato da Simon Bradley al violino. Già dalle prime battute si capisce di che pasta è fatto il giovane piper, sia nell’esecuzione che nell’arrangiamento dei cinque brani del set. In ciò ha trovato valido appoggio dal violinista, membro del gruppo galiziano ‘Llan de Cubel’.
Citiamo alcuni degli altri esecutori. Allan McDonald, che abbiamo avuto modo di conoscere nel Gathering edizione 2005, propone una canzone intitolata ‘Òran air Là Chulodair’ sulla battaglia di Culloden. La sua voce calda viene esaltata da una small pipe in C… e noi, ascoltando quella voce, ricordiamo l’emozione, vissuta in occasione del Gathering citato, quando eseguì in canntaireachd il ground di un pibroch insieme al collega (e antagonista, dal punto di vista dell’approccio interpretativo) Bill Livingstone.
Un altro personaggio su cui vorrei soffermarmi, prima di affrontare più in dettaglio la parte del concerto riguardante
E veniamo al protagonista del set march-strathspey-reel indicato in copertina come Abercairney Highlanders Set, dal nome della strepitosa march in 2/4 che lo apre. Si tratta di Gordon Duncan, straordinario interprete anch’egli tragicamente scomparso nel 2005. Come ci ha abituati con le sue incisioni, Gordon dà un ritmo incalzante alla march, facendo sentire una per una tutte le gracenotes e gli abbellimenti in maniera assolutamente chiara (simile in questo alla pulizia tecnica di Gordon Walker). Ad essa fa seguito un altro celeberrimo brano, ‘The Cameronian Rant’, anch’esso molto trascinante (e altrettanto difficile), la cui tensione si stempera (in maniera liberatoria, direi) appena attacca l’ultimo tune, ‘Mrs McPherson of Inveran’, una delle perle del genio creativo di G. S. McLennan.
La sorpresa del set non viene però dal suo interprete: in fondo, ho già detto, conosciamo le sue doti e ogni volta che ci prepariamo ad ascoltarlo sappiamo di trovarci davanti a musica di altissimo livello. La sorpresa viene dallo strumento. Gordon infatti suona una Highland Bagpipe in A, ossia nella tonalità arcaica della cornamusa: il pitch è il la a 440 Hz. Hamish Moore ha infatti costruito questo strumento nel 1991 riproducendo un set di pipes in ebano del 1785, attualmente conservato all’Inverness Museum. La sua copia è in bosso con ferrules in ottone e mounts in cocobolo (un legno molto duro proveniente dalle foreste del Nicaragua) e il chanter si ispira ad un modello, esposto nello stesso museo, noto come ‘Black Chanter of Kintail’.
La scelta di realizzare una bagpipe secondo le caratteristiche di quell’antico strumento è dettata da un motivo molto semplice: Hamish ama molto il suono delle vecchie cornamuse, un suono dalla resa eccellente nell’esecuzione dei pibroch.
Ma c’è di più. Hamish deplora la perdita di tanti aspetti del fare musica in Scozia: è vero che negli ultimi tempi si è innalzato il livello tecnico e la qualità degli standard (sia costruttivi che interpretativi), ma molti importanti aspetti della cultura musicale gaelica, la sua ricchezza e la sua diversità sono stati dimenticati o sacrificati del tutto. È lui stesso ad indicarceli: gli stili regionali e individuali e l’improvvisazione negli ornamenti, i sempre più rari contatti tra pipe music e danza, l’ascolto dal vivo, le relazioni tra la musica e il linguaggio gaelico (con le varie forme di trasmissione orale: songs, canntaireachd e puirt-a-beul), l’idea della bagpipe come strumento folk, gli stili esecutivi del Border piping.
E si scopre, alla fine, che il progetto di Hamish non riguarda solo la celebrazione di un piper emergente e di un giovanissimo costruttore lanciato nella grande avventura del pipes making, ma soprattutto la celebrazione di una tradizione musicale che in gran parte non esiste più, ma della quale si può ancora recuperare molto. Gli interpreti hanno trovato l’occasione giusta per esaltare i propri stili personali e inserirli in un contesto pubblico; soprattutto, hanno avuto la possibilità di mettere in primo piano il suono degli strumenti a mantice (le bellow-blown pipes), solitamente trascurati a favore delle Highland pipes. Ed esse stesse hanno potuto rientrare in un contesto diverso da quello ‘canonico’ delle competition o della musica reggimentale: per così dire, hanno ritrovato la loro connotazione più familiare, propria di un periodo e di una tradizione nei quali fare musica in casa era un momento non tanto di svago, quanto di socializzazione e di rinforzo dei legami sociali della comunità.
Diamo un’occhiata agli strumenti (e agli interpreti) del concerto: Border Pipes (Fin Moore, Malcolm Robertson, Graham Mulholland, Angus McKenzie), Small Pipes in A (Martyn Bennett, Iain McDonald), in D (Iain McInnes, per diverso tempo piper dei Tannahill Weavers), in A/D (la piper-cantante-produttrice Anna Murray, Gary West) e in C (Allan McDonald), la ricordata Highland Bagpipe in A (Gordon Duncan) e, infine, un set di Highland Reel Pipes suonato da Hamish Moore con l’accompagnamento vocale di Mairi Campbell nell’ultimo tune del cd: una composizione della stessa Mairi intitolato, non a caso, ‘The Piper and the Maker’.
Essendo pezzi unici, vale anche la pena soffermarsi, per un istante, sui materiali utilizzati. Le border pipes sono state realizzate in bosso, con ferrules placcate in oro e mounts in cocobolo o bosso. Per le small pipes in A è stato utilizzato il Lignum Vitae con ferrules placcate in oro e mounts in bosso, mentre per quelle in D si è usato dell’African Blackwood (le finiture sono identiche). Il set di small pipes in A/D di Anna Murray è stato costruito con gli stessi materiali delle precedenti; quello suonato da Gary West, invece, utilizza del laminato di faggio impregnato con polimero ad alta densità, ferrules in ottone e mounts in avorio artificiale, mentre il chanter e il tenor drone intonati in D sono fatti in mopano (altro legno tropicale, come il Lignum Vitae) e inseriti in un secondo tempo per completare il set.
Gordon Duncan, come abbiamo visto, suona una Highlnd bagpipe in A costruita in bosso;
La filosofia che sta alla base del lavoro di ricerca, scoperta e divulgazione, sostenuta da altri artisti (alcuni dei quali specializzati nell’esecuzione su small pipes o border pipes, altri in grado di eccellere anche sulle Highland pipes), fa di Hamish Moore uno dei musicologi più importanti dei nostri tempi e ha trovato in Fin un degno erede, guidato con passione dal padre e ora in grado di proseguire autonomamente nel percorso tracciato. È curioso notare che Hamish è stato aiutato, a sua volta, da suo padre David, sin da quando ha deciso di lasciare il suo posto di chirurgo veterinario presso il Ministero dell’Agricoltura nel 1986 e dedicarsi alla costruzione di small pipes; tutto questo lascia sperare in una prosecuzione della dinastia di pipe makers, nello spirito delle grandi famiglie del passato.
*Il ‘Grand Concert’ ha avuto due seguiti, nel 1997 e nel 2004, di cui si parlerà approfonditamente in un prossimo articolo.