The Piper’s House

(quarta parte)

Sono preziose, in assenza di altri documenti, le testimonianze di Angus McPherson e del pipe major William McLean, che furono allievi di Malcolm McPherson, esattore delle tasse nei pressi di Oighre. Ecco il racconto di McLean:

“Era novembre… si stava facendo buio mentre entravo in quella casa. Mi stavo riscaldando davanti al fuoco e Malcolm prese la sua cornamusa e… iniziò a suonare, mentre io venivo magicamente trascinato dalle note meravigliose, vivaci e decise che provenivano dalle sue dita; e lui mi osservava mentre lo ascoltavo avidamente [letteralmente, me lo bevevo con le orecchie, ndt]… Iniziammo l’indomani; e lui era molto rigoroso nell’insegnamento… ci alzammo intorno alle otto, facemmo colazione alle nove e iniziammo con il practice alle dieci, lui da un lato del camino, io dall’altro lato; e andammo avanti fino all’ora di pranzo. Quindi mi portò fuori per una passeggiata, dalle due alle tre o tre e mezza, e poi ricominciammo con il practice, fino alle sei circa. I chanter vennero messi da parte e ci preparammo per la cena, e alla fine suonammo sulla cornamusa tutto quello che avevo imparato durante il giorno, dalle sette fino a quando ci coricammo. Non ci diede lezioni il sabato, e così per tutto il periodo di studio… poi ricominciavamo il lunedì successivo”.

Angus McPherson conferma il racconto e aggiunge: “La notte memorizzavamo tutti i brani; li canticchiavamo a bocca chiusa insieme, William McLean e io… fino a quando ci addormentavamo…”.

Per molti pipers i primi passi nell’apprendimento si svolgevano in casa, attorno al fuoco durante le lunghe notti invernali (in estate veniva dedicato meno tempo allo studio al chiuso). La Piper’s House è, in questo senso, un esempio tipico. E la suddivisione in due o tre ambienti di una longhouse implicava anche qualcosa di simbolico. Lo spazio riservato al focolare era il segno tangibile dell’ospitalità per la quale, ancor oggi, sono famose le Highlands e le Ebridi. Lo straniero di passaggio, il vicino in visita o l’allievo piper venivano accolti con un cordiale Thig a-staigh!, oppure Thig suas!, accomodatevi, e venivano condotti davanti al fuoco. Il focolare diventava così il cuore della socialità, il luogo d’incontro, e dall’amichevole riunione, dallo ‘stare insieme’ in amicizia deriva il termine gaelico cèilidh. Hector McLean descrisse al folklorista John Francis Campbell, nel 1860, questa ‘istituzione’ e come essa sopravvivesse ancora nell’isola di Barra: “La gente si incontra in massa nelle case di coloro che considerano grandi narratori per ascoltare le loro storie”. Nell’introduzione ai suoi Carmina Gadelica del 1900, Alexander Carmichael ricorda con affetto le sue esperienze nelle “cèilidh-houses”:

“Nelle fattorie la gente lavora i campi insieme durante il giorno e discute insieme la sera. Questo appuntamento serale si chiama cèilidh… Il cèilidh è un intrattenimento in cui vengono ripetuti e recitati storie e racconti, poemi e ballate, dove si canta, si pongono indovinelli, si citano proverbi, e molti altri argomenti vengono proposti e discussi… La casa è ampia e pulita, accogliente e semplice, con il fuoco scoppiettante al centro della sala. C’è molta gente – uomini e donne, ragazzi e ragazze. Le donne sono sedute, come la maggior parte degli uomini… Gli argomenti di conversazione sono i più vari: gli avvenimenti locali, il tempo, il prezzo del bestiame, su fino a temi più rilevanti, come il tasto dolente del disboscamento delle valli, la guerra, il governo, gli effetti del sole sulla terra e della luna sulle maree”.

Un cèilidh nella Piper’s House sarà sicuramente passato, ogni volta, dagli affari e le ultime novità a brani, canzoni e puirt-à-beul. Cailleach Liath Ratharsair, un brano tradizionale del  posto, deve essere stato un tormentone dei pipers. E ad esso ne saranno seguiti degli altri, molti dei quali possiamo trovare tra i manoscritti e le opere a stampa di Angus McKay.

In un modo o nell’altro, l’eredità musicale dei “McKays of Raasay” sopravvive e merita di essere salvaguardata, non fosse altro perché rappresentano il punto d’inizio dell’”era moderna” del piping e, allo stesso tempo, guardano ancora verso un passato non facile da comprendere. Quel passato ha però assunto sempre più importanza. Le fonti sono a portata di mano, nella musica, nel linguaggio, nella letteratura, nella tradizione orale e nella cultura materiale, e ci permettono di esplorarlo. Come ci è stato concesso di visitare la Piper’s House e di ricostruirne l’ambiente e il modo in cui lo stile di John McKay fu trasmesso ai suoi figli e ad altri allievi. L’analisi dei manoscritti ci suggerisce che il repertorio di Angus affonda le sue radici nella tradizione musicale di Raasay. Sarebbe inesatto attribuire queste caratteristiche esclusivamente all’insegnamento ricevuto da un’altra grande famiglia di pipers, i McCrimmons di Borreraig. Lo stesso studio dei ritratti di Angus ci racconta più del suo semplice aspetto fisico: è un viaggio nei cambiamenti di status sociale e culturale dei pipers tra il XVIII e il XIX secolo.

Si è detto, all’inizio, che molti ricordano solo il triste destino che toccò ad Angus McKay. Speriamo che l’opera di Hugh Cheape e di Decker Forrest apra una finestra su aspetti ben più interessanti, come i tempi e i luoghi della sua vita. In fondo, è quello che lui stesso cercò di fare nel 1854, quando riaffermò le sue origini nel suo diario, in ospedale, con le seguenti parole:

“Io, Angus figlio di John figlio di Roderick che nacque a Eyre, Raasay…”